
Marco Gardenghi, buio pesto su ex fissa per giornalisti
di Marco Gardenghi
È buio pesto sulla “ex fissa”. La già evidente confusione sull’irrisolto problema aumenta sempre più e nessuno dei soggetti istituzionalmente coinvolti fa nulla per tentare di dare ufficialmente elementi certi agli oltre duemila giornalisti interessati al tema. Nessuno si assume nemmeno la responsabilità di firmare la lettera inviata a 1948 giornalisti (quelli che hanno chiesto l’erogazione della ex fissa alla data del 30 settembre 2017) e che riporta come mittente un’anonima “Commissione paritetica Fieg-Fnsi”.
Tra i tanti punti di gestione confusa, partiamo da questa lettera nella quale si raccontano i guai che il Fondo ha avuto in questi anni, dal suo superamento concordato in sede di rinnovo contrattuale sottoscritto il 24 giugno 2014, e delle sue successive vicissitudini per tentare di erogare quanto dovuto alle centinaia di giornalisti in lista di attesa.
Nella lettera si propone poi di diminuire i tempi di attesa per il pagamento di quanto dovuto, ma a fronte di un notevole sacrificio da parte dei giornalisti creditori. Ossia rinunciare al 50 per cento della somma per averla in un anno, ottenere il 55 per cento in tre anni o il 60 per cento in cinque anni. Tutto questo, si sottolinea, su base volontaria, che significa che ciascuno può rivendicare il 100 per cento del dovuto ma sapendo che le rate saranno spalmate in molti più anni di quanto annunciato in un primo momento, forse 17 anni o anche più.
Ma va anche detto che non c’è alcuna certezza che la proposta di autoriduzione partorita in una verifica attuariale dello studio Micocci, consulente strutturale ormai di tutti gli organismi della categoria, Fieg compresa, possa portare ad un esito favorevole. Se tutti facessero la dolorosa scelta di rinunciare al 50 per cento del credito e di avere i soldi entro un anno, non ci sarebbero comunque denari sufficienti per percorrere questa strada.
Così come chi farà la scelta di attendere pur di avere il 100 per cento, non sarà certo di riscuotere o di lasciare in eredità il proprio credito.
I RITARDI NELLA SPEDIZIONE DELLA LETTERA. La raccomandata è datata 30 novembre, doveva essere inviata il 5 dicembre, ma l’Inpgi, gestore del Fondo su decisione di Fieg e Fnsi e che per tale incombenza riceve un corrispettivo annuo di circa 200 mila euro, si è servito per la spedizione di una società di Milano che solo molti giorni dopo, il 15 dicembre, ha provveduto all’invio.
Risultato, a fine dicembre erano numerosi i colleghi che non avevano ancora ricevuto nulla. Nella lettera si indicava come tassativo il termine del 31 dicembre per fornire una risposta alle proposte della Commissione.
Il ritardo della spedizione, ulteriormente peggiorato dalla concomitanza delle Feste di fine anno, aveva già portato il Segretario generale della Fnsi ad annunciare nel corso del Consiglio nazionale del 20 dicembre l’ipotesi dello spostamento del termine, forse a fine gennaio 2018. Ma notizie ufficiali da parte del Commissione scrivente non ne sono arrivate.
La Commissione si riunirà il 10 gennaio ed è probabile che adotti lo slittamento del termine per le risposte, ma ciò apre un altro problema. Nella raccomandata si sottolinea che la rata 2017, che avrebbe dovuto essere pagata a dicembre, verrà pagata entro il 31 gennaio 2018. Ma se il termine per le risposte dei colleghi verrà spostata sempre al 31 gennaio, la rata con ogni probabilità non sarà pagata entro la data stabilita e slitterà a fine febbraio.
Questo perché la Commissione vuole avere conoscenza della volontà dei colleghi prima di decidere il da farsi e anche l’erogazione della rata 2016 rientra tra gli elementi necessari per fare il punto sul problema.
IL REBUS DEL DEBITO. Ma a questo punto sorge spontanea una domanda? A quanto ammonta il debito del Fondo ex fissa? Nessuno lo sa, o quanto meno nessuno lo vuole dire. Sì, perché nella lettera inviata ai 1948 giornalisti, in un primo momento era stato inserito il dato del credito che ognuno dei giornalisti vantava ancora nei confronti del Fondo, al netto di quanto già ricevuto e degli interessi ricalcolati in funzione dei successivi accordi tra Fieg e Fnsi, mai divulgati dalle parti firmatarie.
Ma in un secondo momento quando la lettera era già in partenza, quel capoverso è sparito poiché gli uffici dell’Inpgi non sarebbero stati in grado di fornire quel dato, tanto banale quanto significativo.
La platea dei 1948 giornalisti si riferisce a quanti avevano fatto domanda al 30 settembre 2017, una platea da cui sono esclusi coloro che sono andati in pensione successivamente o da quanti, improvvidamente, non avevano ancora presentato la domanda.
Quindi la platea nel frattempo è aumentata e con essa anche la cifra che il Fondo deve sborsare o meglio che devono sborsare gli editori perché al di là degli accordi successivi nel corso degli anni sono sempre gli editori i reali debitori del Fondo. Questo avrebbero dovuto saperlo anche quei colleghi che hanno erroneamente chiamato in causa l’Inpgi cui spetta solo la gestione del Fondo e non certo il ripianamento del suo deficit.
Ci sono però altri aspetti su cui i soggetti coinvolti Fieg, Fnsi e Inpgi, avrebbero dovuto fare chiarezza in questi anni. Ciò non avrebbe risolto il problema ma avrebbe certamente impedito che il dibattito degenerasse molto spesso in una discussione da bar sport.
Occorreva, ad esempio, fare sapere a tutti i soggetti interessati l’esatto calcolo del loro credito (alcuni colleghi lamentano di non avere mai ricevuto alcuna comunicazione): basti pensare che la rata 2016 è stata accreditata nel conto corrente di ciascun collega a metà dicembre 2016 ma non è stata data alcuna informazione ai soggetti interessati che hanno scoperto il bonifico solo guardando attentamente il proprio estratto conto.
Ancora oggi, contattare telefonicamente gli uffici dell’Inpgi per avere chiarimenti risulta una vera impresa. Assieme ad altri colleghi ho quasi sempre difeso l’Istituto da attacchi spesso strumentali e rimarcata l’efficienza della struttura rispetto ai disastri dell’Inps, ma sarebbe bastato poco in questo caso per assolvere a quella funzione di servizio che è sempre stato e deve continuare ad essere un elemento fondante dell’Istituto.
I MISTERI DEL PRESTITO INTERROTTO. Così come sarebbe bene conoscere i retroscena dell’interruzione del prestito-finanziamento deciso dall’Inpgi a favore della Fieg con cui ripianare il debito del Fondo. Si trattava di 35 milioni di euro che la Fieg si era impegnata a restituire all’Istituto con un tasso del 4,60 per cento.
Ma dopo i primi 12 milioni di prestito-finanziamento concessi alla Fieg, una lettera del Ministero del Lavoro, anche questa secretata, avrebbe impedito la seconda tranche di quanto già stabilito dal Cda dell’Inpgi. C’è chi sostiene che in quella lettera non ci fosse esattamente un divieto di procedere al prestito-finanziamento, ma anche in questo caso sarebbe bastata maggiore trasparenza per evitare inutili polemiche.
Qualcuno ha affermato che la crisi del Fondo è strutturale e risale alla sua costituzione a metà degli anni Ottanta. Una assoluta verità. La fissa è un istituto che risale al contratto giornalistico del 1919, cioè a quasi un secolo fa. Poi, molti decenni dopo, fu cancellata ma il diritto ad un “supplemento di fine rapporto” rimase con sempre maggiori problemi per la capienza del Fondo stesso.
Gli organismi della categoria avrebbero dovuto prendere atto molto tempo fa della sua totale ingovernabilità e provvedere alle necessarie correzione quando era chiaro a tutti che prima o poi sarebbe esploso il problema.
Sarebbe infatti bastato modificare alcune regole come quelle di potere vedere erogate allo stesso soggetto tre fisse o porre un tetto a cifre fantasmagoriche pagate a pochi eletti, distorsioni che non hanno da sole creato la voragine con cui oggi ci dibattiamo ma che, se corrette, certamente sarebbero servite a trovare soluzioni più rapide ed efficaci e anche a richiedere sacrifici a fronte di maggiore equità.
Basti pensare che tra gli importi in corso di rateazione ce ne sono due scandalosi: un primo da 1.436.528 euro ed un secondo da 1.424.240 euro. Mentre nel luglio 2015 si è stabilito che per chi non è ancora andato in pensione ma ha già maturato il diritto alla ex fissa scatterà un tetto di 65 mila euro come massimo importo erogabile. Dove è l’equità in tutto ciò?
SCONTRO GENERAZIONALE. Un’ultima annotazione. Esiste più che un sospetto che la scarsa attenzione e la superficialità con cui il tema della ex fissa è stato trattato dagli attuali gruppi dirigenti degli organismi di categoria abbia motivazioni profonde in uno scontro generazionale che mai come ora è cresciuto diventando quasi insanabile.
Una grande parte di responsabilità in questo scontro l’hanno avuto i pensionati la cui quasi totalità ha dichiarato guerra all’Inpgi e alla Fnsi opponendosi in modo sconsiderato al contributo di solidarietà introdotto dalla riforma Inpgi. Una riforma che semmai aveva altri punti molto più discutibili come, ad esempio, il taglio delle indennità di disoccupazione per chi perde un lavoro che forse non ritroverà mai più.
Da quello scontro è nata una insanabile contrapposizione che ha avuto conseguenze anche sulla ex fissa.
D’altra parte, sono numerosi i colleghi attivi, anche all’interno dei gruppi dirigenti della categoria, che ritengono sbagliato sprecare risorse per dare una ulteriore buonuscita ai “già ricchi” pensionati. Questi colleghi, però, dimenticano che la salvaguardia dei diritti rappresenta un baluardo che va al di là del merito del tema in discussione.
Permettere agli editori di sfuggire ai loro doveri sulla ex fissa aprirebbe un fronte dove nessun altro diritto sancito dal contratto sarebbe più garantito.
Marco Gardenghi
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