Idrossiclorochina o no? Quali sono le terapie attuali contro il covid?
L’idrossiclorochina, già protagonista mediatica fin dall’inizio della pandemia e spesso citata da vari potenti del mondo, a cominciare dal presidente Usa Donald Trump, è ancora sotto accusa e a farlo è uno studio pubblicato su ‘Clinical Microbiology and Infection’, la rivista ufficiale della European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases (Escmid).
Non ridurrebbe la mortalità nei pazienti con Covid-19 quando utilizzata da sola, e anzi aumenta del 27% quando usata in combinazione con l’antibiotico Azitromicina.
Gli autori del lavoro – che non concordano con lo studio italiano – hanno passato in rassegna 29 lavori condotti sulla molecola e hanno deciso di includere nell’analisi i dati relativi a 11.932 pazienti trattati con idrossiclorochina, 8.081 nel gruppo idrossiclorochina con azitromicina e 12.930 nel gruppo di controllo (che non hanno ricevuto nessuno dei due farmaci)./AdnKronosSalute
Proprio qualche giorno fa, su la Repubblica online (26 agosto 2020),
ANTONIO CASSONE American Academy of Microbiology scrive che:
…due corposi studi, uno eseguito su pazienti italiani e un altro su pazienti belgi, sono apparsi contemporaneamente nella letteratura internazionale qualificata. Quello italiano, coordinato da Licia Iacoviello dell’Iiccs Neuromed Pozzilli, Isernia, ha riguardato 3451 pazienti Covid-19 ospedalizzati in 33 centri clinici italiani, dei quali circa il 75% è stato trattato con idrossiclorochina (con o senza altri farmaci) ed il restante senza clorochina, mentre quello belga, coordinato da Domnique Van Bekhoven dell’Ente di Sanità Pubblica del Belgio Scieziano, ha reclutato 8075 pazienti di cui 4542 trattati con sola idrossiclorochina e supporto terapeutico ed i restanti 3533 non-trattati con questo farmaco ma riceventi solo terapia di supporto. In entrambi gli studi, la dose complessiva del farmaco era relativamente bassa (attorno a 5 grammi complessivi), rispetto alle dosi usate nel succitato trial Recovery (9 grammi). Entrambi gli studi riportano una significativa diminuzione del rischio relativo di mortalità (circa il 30% in quello italiano) nei soggetti Covid-19 trattati con clorochina rispetto a quelli non trattati.
Studi osservazionali
Va detto subito che entrambi gli studi sono di tipo osservazionale e retrospettivo. Questo tipo di studi è generalmente gravato da vari fattori distorsivi o confondenti che limitano la certezza dei dati ottenuti e delle conclusioni raggiunte. Il principale fattore distorsivo è l’assenza di randomizzazione per cui, ad esempio, i soggetti assegnati al gruppo clorochina possono avere caratteristiche tali da renderli a minor rischio di morte, essere ad esempio più giovani e meno afflitti da altre malattie (comorbidità) che, come è noto, elevano di parecchio il rischio di morte da Covid-19. Una corretta analisi statistica, in effetti assai ben eseguita in entrambi gli studi, aiuta a correggere, ma non può del tutto eliminare tutti questi fattori, previsti o non previsti, della sperimentazione. Tutti questi limiti sono peraltro ben riconosciuti e dichiarati, con ammirevole onestà, dagli autori di entrambi gli studi.
Due studi che, nel loro insieme, hanno riguardato qualcosa come più di diecimila soggetti, con una quota molto elevata di pazienti trattati e di controllo. Quando i numeri sono così alti, i fattori distorsivi tendono a diluirsi e il dato finale ottenuto, in questo caso la riduzione del rischio di morte da Sars-Cov-2, diventa apprezzabile, se non robusto.
Questi studi suggeriscono che la dose di idrossi-clorochina da usare nei prossimi trials dovrebbe essere piuttosto bassa. Il fatto che risultati terapeutici migliori si ottengono con dosi moderate e invece peggiori con quelle alte si aggiunge ad altre evidenze per cui la potenziale efficacia anti-Covid-19 della clorochina non è tanto dovuta ad un diretto effetto antivirale ma piuttosto ad una attività immunomodulante e antinfiammatoria di questo farmaco, essendo le curve di attività degli immunomodulatori spesso non lineari ma “a campana”, con effetti talvolta paradossalmente negativi alle alte dosi.
L’osservazione fatta dagli studiosi italiani che il trattamento con idrossiclorochina è particolarmente favorevole nei pazienti con elevato livello di una proteina di fase acuta come la proteina C reattiva, rafforza questo concetto e porta a sfatare l’idea a lungo sostenuta che clorochina- idrossiclorochina possa essere benefico solo nelle prime fasi dell’infezione da Sars-Cov-. Forse è vero il contrario.
Quale che sia il meccanismo, gli studi appena pubblicati inducono a rivalutare alcune frettolose e premature conclusioni. Essi rendono plausibili dal punto di vista biomedico e necessari dal punto di vista clinico nuovi trials randomizzati e controllati, con pazienti ben definiti e scelta informata delle modalità di trattamento, che possano accertare se davvero clorochina ed idrossiclorochina possono essere sicuri ed efficaci nella lotta a Covid-19. Magari, alla fine, la clorochina potrebbe risorgere dalle sue ceneri. /American Academy of Microbiology
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LE TERAPIE
/Fonte Agenzia Regionale Sanità della Toscana
Attualmente non esiste nessuna terapia che si sia dimostrata sicuramente efficace nella cura dell’infezione da SARS-CoV-2. Dato che si tratta di un’infezione virale e che la fase avanzata di COVID-19 è legata anche alla risposta infiammatoria dell’organismo, le classi di farmaci attualmente utilizzate sono:
Antivirali
Diversi inibitori delle proteasi (e.g. darunavir, atazanavir) attualmente utilizzati per la terapia dell’HIV, potrebbero inibire la replicazione virale dei coronavirus inattivando le proteasi, che sono fondamentali per la replicazione.
Infatti, fra i principali farmaci utilizzati nell’ambito del piano nazionale di gestione dell’emergenza COVID-19, troviamo il Lopinavir / Ritonavir (Kaletra), che viene utilizzato principalmente nei pazienti COVID-19 con minore gravità e nelle fasi iniziali della malattia, gestiti sia a domicilio sia in ospedale. Precedenti esperienze nell’infezione da SARS-CoV-1 e MERS, suggeriscono che tale farmaco possa migliorare alcuni parametri clinici dei pazienti.
Anche Remdesivir, appartenente alla classe degli analoghi nucleotidici, utilizzato in precedenza nell’epidemia da virus Ebola in Africa, è utilizzato in pazienti con malattia moderata e severa.
Clorochina e Idrossiclorochina (Plaquenil) sono farmaci ad azione antivirale ed entrambi hanno anche un’attività immunomodulante che potrebbe sinergicamente potenziare l’effetto antivirale in vivo.
Approvato lo studio “Adaptive Randomized trial for therapy of COrona virus disease 2019 at home with oral antivirals (ARCO-Home study)” che ha l’obiettivo di sperimentare l’efficacia di Darunavir-cobicistat, Lopinavir-ritonavir, Favipiravir e Idrossiclorochina come terapie domiciliari in una popolazione COVID-19 precoce al fine di prevenire la progressione dell’infezione verso forme cliniche gravi o critiche con necessità di ricorso al ricovero e a procedure invasive come l’intubazione.
Inibitori dell’infiammazione
Numerose evidenze sperimentali e cliniche hanno dimostrato che una parte importante del danno provocato dal virus è legato ad un’alterata risposta infiammatoria e in alcuni pazienti a un abnorme rilascio di citochine pro-infiammatorie come interleuchina-6, interferone-gamma, tumor necrosis factor alfa.
Per questo, anche in base alla precedente esperienza dimostrata nei pazienti con SARS, vengono utilizzati nell’emergenza Covid-19 farmaci anti infiammatori (in particolare anticorpi monoclonali) che da alcuni anni vengono utilizzati in reumatologia al fine di inibire la risposta immunitaria: il Tocilizumab e l’Anakinra.
In particolare il farmaco maggiormente utilizzato nell’ambito delle sperimentazioni cliniche per il trattamento della malattia è il Tocilizumab (anticorpo diretto contro il recettore dell’interleuchina-6). Tale farmaco è stato autorizzato dall’Aifa il 3 aprile in uno studio di fase III, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, per valutarne la sicurezza e l’efficacia.
In un comunicato stampa pubblicato il 13 maggio, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha messo a disposizione una breve sintesi dello studio italiano non comparativo su tocilizumab “TOCIVID-19” promosso dall’Istituto Nazionale Tumori di Napoli. Pur con i limiti riportati nel summary, i risultati suggeriscono che il farmaco può ridurre significativamente la mortalità a un mese, m a che il suo impatto sia meno rilevante sulla mortalità precoce (14 gg).
L’efficacia e la sicurezza di Emapalumab, un anticorpo monoclonale anti-interferone gamma, e Anakinra, un antagonista del recettore per la interleuchina-1, sono in valutazione in uno studio di fase 2/3, multicentrico, volto a ridurre l’iper-infiammazione e il distress respiratorio in pazienti con infezione da nuovo coronavirus.
Anticorpi terapeutici
Gli anticorpi prelevati dal sangue dei pazienti guariti, rappresentano un’opzione terapeutica attualmente in fase di studio. Si calcola che la dose di anticorpi necessaria per il trattamento di un paziente affetto da SARS-CoV-2, necessita del prelievo di anticorpi effettuato da almeno tre pazienti guariti dall’infezione da SARS-CoV-2.
Terapie di supporto
Altre terapie essenziali sono le cosiddette terapie di supporto utilizzate per mantenere in vita il paziente in attesa che altri farmaci siano efficaci o che la malattia guarisca spontaneamente. Di questi fanno parte:
- l’ossigenoterapia a bassi o alti dosaggi
- la ventilazione a pressione positiva non invasiva (NIV)
- la ventilazione meccanica mediante intubazione
- in casi estremi può essere attuata la extra corporeal membrane oxygenation (ECMO) che consiste nel sostituire l’azione polmonare di ossigenazione utilizzando una procedura di circolazione extracorporea aumentando, così, l’ossigenazione del sangue.
Un’altra misura terapeutica di supporto consiste nel mobilizzare il malato dal letto alla poltrona e di fargli assumere la posizione prona, quando disteso, al fine di ottenere una migliore espansione polmonare.
Novità. Rapporto sull’uso dei farmaci durante l’epidemia COVID-19 Anno 2020. Il 29 luglio è stato pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco il Rapporto sull’uso dei farmaci durante l’epidemia COVID-19, redatto con il contributo dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali dell’agenzia (OsMed), che ha finalità di raccolta e monitoraggio delle dinamiche farmaceutiche sul territorio italiano, e sulla base delle informazioni inoltrate all’AIFA sui farmaci maggiormente utilizzati durante l’epidemia COVID-19. Tale rapporto ha l’obiettivo di fornire un’analisi dei trattamenti utilizzati durante l’emergenza COVID-19 ed è essenziale per la programmazione preventiva o correttiva di eventuali recrudescenze.
Il documento, composto da tre sezioni, approfondisce le diverse modalità di erogazione dei farmaci: la prima sezione riguarda il canale degli acquisti diretti, ovvero dei farmaci acquistati direttamente dalle strutture del Servizio sanitario nazionale ed erogati nelle strutture ospedaliere; la seconda sezione si riferisce agli acquisti presso le farmacie territoriali (pubbliche e private) e rimborsati dal Sistema sanitario nazionale mediante ricetta; la terza sezione fa riferimento agli acquisti di farmaci, prevalentemente in fascia C, effettuati dalle farmacie territoriali (pubbliche e private) ed erogabili privatamente ai cittadini.
Per quanto riguarda i farmaci utilizzati per il COVID-19 nei periodi pre e post COVID-19 nelle strutture del Sistema sanitario nazionale, la differenza maggiore in termini assoluti viene riscontrata per idrossiclorochina (in data 26/05/2020 l’AIFA ha sospeso l’autorizzazione al suo utilizzo off-label al di fuori degli studi clinici) e azitromicina. Un incremento, sebbene non statisticamente significativo, è stato riscontrato anche per gli antivirali darunavir/cobicistat e lopinavir/ritonavir e per gli anticorpi monoclonali tocilizumab e sarilumab.
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