Podcast di Beretta sugli ultimi 10 giorni di vita di Luciano Liboni

a miniserie podcast realizzata con il produttore Riccardo Luchini

Podcast di Beretta sugli ultimi 10 giorni di vita di Luciano Liboni

Si chiama “Alibi, il luglio caldo del Lupo Liboni” la miniserie podcast realizzata dal giornalista Enzo Beretta e dal produttore musicale Riccardo Luchini che in cinque puntate racconta gli ultimi dieci giorni di vita di Luciano Liboni, detto “il lupo”.

La caccia all’uomo del “Lupo di Montefalco”, così era chiamato il bandito, si scatenò in tutta Italia in seguito all’omicidio del carabiniere Alessandro Giorgioni, ucciso con due colpi di pistola davanti a un bar di Sant’Agata Feltria nelle Marche.

Il podcast, la cui prima puntata uscirà il 25 aprile, ripercorre le vicende giudiziarie di Liboni, latitante dal 2002, ricercato in tutto il Paese e infine ucciso al Circo Massimo, a Roma, in un conflitto a fuoco con alcuni colleghi della vittima. Le puntate ripropongono audio originali dell’epoca tratti dall’archivio del Tgr dell’Umbria. Riccardo Luchini, in arte dj Ricky L, si è occupato della selezione delle musiche autoprodotte, del sound design e del montaggio.

Enzo Beretta

Tra gli altri hanno partecipato al lavoro, prestando le loro voci per le intepretazioni di alcuni personaggi, i giornalisti Fiorenza Sarzanini e Fabrizio Roncone del Corriere della sera, oltre a Roberto Tallei di Sky. Il podcast, che verrà pubblicato in anteprima su Umbria24, testata online per cui scrive Beretta, viene distribuito sulle principali piattaforme come Spotify, Apple Podcasts, iHeartRadio, Google e Amazon.

Esce il 25 aprile e racconta gli ultimi giorni di Luciano Liboni


Preso e ucciso dopo una sparatoria a Roma Luciano Liboni

La cattura del “Lupo”
di Elena Carulli

“Ha la faccia brutta, è andato da quella parte”. Grazie a questa dichiarazione, fatta a due vigili urbani in servizio nella zona da una signora che si trovava lì per caso, è stato possibile catturare Luciano Liboni, il killer soprannominato “Il Lupo”. Zona Circo Massimo, Roma, 31 Luglio, la donna aveva avvistato il Lupo che camminava da Via Petroselli verso Via dei Cerchi. I due vigili urbani in motocicletta, secondo il racconto non hanno indugiato un attimo e, in moto, hanno fatto il giro passando per Piazza Bocca della Verità, Via dell’Ara Massima di Ercole, per non percorrere Via dei Cerchi contromano e poi hanno proseguito a piedi fino a Piazza di Porta Capena. Svoltato l’angolo che dà sul Circo Massimo, hanno continuato a seguire quell’uomo, temendo che volesse prendere la metropolitana. La metro è infatti proprio lì a due passi, ma egli non c’è arrivato; sulla sua strada la sorte, che fino ad ora l’aveva aiutato, gli ha piazzato due carabinieri svelti e coraggiosi, messi in allerta dai vigili, che, impugnate le pistole, non hanno esitato ad affrontarlo.

A quel punto il Lupo, accortosi di non avere più scampo, per aprirsi una via di fuga, si è voltato verso i militari e non ha esitato ad esplodere cinque colpi di pistola. Quindi ha preso una famiglia in ostaggio e, puntando la pistola alla tempia di una donna, secondo un testimone della vicenda avrebbe detto: “L’ammazzo, tanto sono morto”, poi è scappato e ha sparato ancora. I carabinieri hanno risposto al fuoco colpendolo mortalmente alla testa. Vano infatti è stato il tentativo di operarlo da parte dei sanitari dell’Ospedale San Giovanni, dove era stato trasportato d’urgenza in condizioni disperate. Il suo cuore cessava di battere proprio durante l’intervento, strappandolo ad una vita trascorsa ai margini del nulla, con una lunga scia di odio, amarezza e rabbia.
«Liboni aveva un aspetto un po’ diverso rispetto alle foto che sono state diffuse», dice il maggiore Giovanni Arcangioli, comandante del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Via In Selci. “Si era rasato, aveva la barba incolta al massimo di un giorno, non aveva il pizzetto, né gli occhiali da vista. Indossava una maglietta e dei jeans, in effetti era facilmente confondibile”.

Uno dei carabinieri presenti riferisce addirittura che tanto è l’odio di Liboni nei confronti delle forze dell’ordine “che anche quando è stato messo sulla lettiga in ambulanza ormai morente, ci dava calci ferocemente. Era tanta la sua ferocia che gli abbiamo dovuto legare i piedi per neutralizzarlo definitivamente”.
Luciano Liboni giace a terra feritoLuciano Liboni aveva con sé 33mila euro in contanti, provento di rapine come quella ai danni di una banca il 2l luglio scorso a Foligno. Diecimila euro li teneva nel portafoglio, i restanti 23mila li aveva riposti nello zainetto che aveva con sé al momento della cattura. Qui sono stati trovati anche due documenti falsi. Si tratta di una carta di identità e una patente con la sua foto, ma con un altro nome: Franco Franchini, nato il 6 maggio del 1960 ad Ancona, professione operaio. È uno dei vari alias usati da Liboni e noti alle forze dell’ordine. Nel conflitto a fuoco con i carabinieri Alessandro Palmas e Angelo Bellucci, Liboni ha esploso cinque colpi dal suo revolver 375 Magnum con canna da 3 pollici, marca Renato Gamba, con la matricola abrasa. La pistola aveva in tutto 6 colpi, uno rimasto inesploso. In tasca il killer aveva anche delle cartucce, mentre diversi occhiali erano stati riposti

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