A Gibellina l’arte di Burri parla di ciò che è stato e di quello che sarà 📸

A Gibellina l'arte di Burri parla di ciò che è stato e di quello che sarà

A Gibellina l’arte di Burri parla di ciò che è stato e di quello che sarà

di Vanni Capoccia

Burri ha sempre detto che le sue opere parlano da sole e non hanno bisogno di spiegazioni. Il Cretto di Gibellina non sfugge a questo convincimento del grande artista di Città di Castello. Inizia a parlare di sé dalle difficoltà che s’incontrano per arrivarci, a partire da una strada, indicata dal navigatore, che sale sale sale diventa scoscesa e pericolosa finché non  costringe alla resa. Per scoprire a Gibellina Nuova che è franata da più di 11 anni e che bisogna passare per un altro paese Santa Ninfa.

Comunque l’arte deve essere una faticosa conquista e la tigna  conduce a una distesa di cemento bianco battuta dal sole che scende dal monte allargandosi a valle come una colata di lava bianca. Distesa sulla vecchia Gibellina  distrutta dal terremoto del Belice sembra un sudario crettato dalle sue antiche stradine.

E mentre ci si muove per quei vecchi sentieri ci si rende conto dell’incredibile capacità di Burri di sublimare la materia in arte. E di come  le macerie di Gibellina siano diventate davanti ai suoi occhi la materia sulla quale agire per renderla la sua opera più imponente, il suo più grande segno lasciato alle future generazioni.



Burri vedendo Gibellina Nuova avvertì che là non avrebbe potuto fare nulla e si fece condurre a quella distrutta. Di fronte alle  macerie disse subito cosa avrebbe potuto fare con esse. In quel preciso momento oggetti,  pensieri, parole, montagne di calcinacci, generazioni di donne e uomini catturati dallo sguardo di Burri divennero arte.

Il Cretto di Gibellina è un capolavoro antropologico dove sembra ancora svolgersi, anche se non nella forma cruenta e istantanea di un terremoto, l’eterno contrasto tra ciò che l’uomo crea e la natura che vuol riprendersi ciò che le è stato tolto come dimostra la parietaria che tenta di sbucare da ogni anfratto.

Arte evocativa quella creata da Burri, il Cretto di Gibellina dice soprattutto della forza della parola  perché c’è morte assoluta solo quando la parola tace. Ma mentre si vaga tra quelle pareti di cemento l’impressione è che dalle macerie sotto il cretto la vita pulsi ancora e parli. Nel silenzio assolato del cretto sembra proprio di sentirlo il respiro di Gibellina: il canto di un gallo, l’abbaiare di un cane, sospiri amorosi, una lite, il raglio di un asino e lo zoccolare di un altro, i passi di un cafone, il pianto di una bimba…

Parla Gibellina vecchia. Dice dell’arte di Burri, di se stessa e di noi, di quello che è stato e di quello che sarà.

E quando accompagnati da tali pensieri ci si allontana da quel pietoso labirinto non si può non rivolgere un pensiero alle generazioni di gibellinesi sepolte nel vicino cimitero e nel contempo non accorgersi dei ben curati vigneti di Salaparuta sparsi nella campagna intorno.

Cretto, cimitero, vigneti, l’utopia incompiuta di Gibellina Nuova con la Porta del Belice di Consagra e le altre opere d’arte  sembrano voler ricordare che la vita continua nonostante tutto.

Dovrebbero essere  Patrimonio dell’umanità perché lì tutto ricorda il destino dell’umanità e il suo eterno andare tra la vita e la morte.

 

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