Alessandro, re di molte terre e tanti popoli i due volti antitetici: l’ambiguità al potere
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA – Merita, forse, il primo posto tra i maggiori conquistatori di ogni epoca. Ma anche lui, come il sole, presenta – nel pure immenso splendore – le sue brave macchie. Ha ottenuto trionfi incredibili, conquistato terre e popoli lontani (più di una ventina di stati attuali), dove mai fino ad allora, si era spinto alcuno. Si gloriava per i suoi avi (tra i quali citava Ercole ed Achille), per la sua bellezza, per il suo fisico atletico, per la sua cultura, ma si dimostrò anche spietato, crudele, feroce in particolare nei confronti di chi gli faceva ombra o metteva in discussione i suoi diritti dinastici o il suo potere assoluto e, negli ultimi anni, dispotico.
Ora Napoli, e fino al 28 agosto, gli dedica una mostra altrettanto fastosa quanto l’appellativo di Magno che il re si è guadagnato: 170 reperti (tra mosaici, statue, monili, ori e quant’altro) provenienti, tra gli altri, dal Louvre, dal British, da Pompei, da Salonicco in una esposizione – dal titolo “Alessandro Magno e l’Oriente” -, curata da Filippo Coarelli, già docente per lustri a Perugia e professore emerito dell’ateneo umbro e da Eugenio Lo Sardo, accompagnata con un catalogo molto ricercato ed elegante per in tipi dell’Electa.
Alessandro III di Macedonia (356 aC-323aC) nacque a Pella, capitale del piccolo, combattivo regno, da Filippo II (casata degli Argidi) e da Olimpia, figlia del re dell’Epiro, Neottolemo. La bellissima e ambiziosa madre stravedeva per il figlio al quale trovò, quali istitutori una nobile (Lanice) ed un colto compatriota (Leonida epirota), per poi affidarlo al filosofo Aristotele. A 16 anni il padre gli riconobbe – siccome impegnato in guerra – la reggenza del regno.
E lui, che poco prima aveva suscitato enorme scalpore per aver domato il cavallo Bucefalo (manto nero, stella sulla fronte, un occhio azzurro, mai cavalcato da alcuno), dono recato al principe da Damarato di Corinto (o acquistato dal padre in Tessaglia per la cifra record di 13 talenti), si segnalò immediatamente (correva il 337 aC) travolgendo a Cheronea, alla guida delle sue truppe, il Battaglione Sacro di Tebe, invitto sino ad allora e completamente sterminato.
A 20 anni salì al trono, a seguito dell’assassinio del padre, pugnalato durante una cerimonia da un certo Pausania, che lamentava ingiustizia a suo danno. Non mancò chi vide nell’omicidio la regia occulta di Olimpia, seconda moglie di Filippo, dopo Fila e prima di Cleopatra e contrarissima all’ultimo matrimonio ed alle varie concubine reali o, addirittura, le trame dello stesso Alessandro.
Nello stesso anno il nuovo sovrano, in virtù della potenza del proprio esercito, si fece eleggere comandante supremo delle forze elleniche, con voto unanime di tutte le polis, con la sola eccezione di Sparta. Accanto a lui gli amici della fanciullezza: Tolomeo, Arpalo, Nearco di Creta, Efestione, il più caro di tutti.
Poiché temeva le brighe di Attalo e della nipote Cleopatra, il fresco re decretò lo sterminio del generale e dei fratellastri, mentre Cleopatra venne spinta al suicidio.
Sul sangue, insomma, Alessandro creò le premesse del suo regno. Per seguire le sue ambizioni (punire i Persiani di aver fatto soffrire i Greci e depredato i loro templi) si mosse da Anfipoli, ma dovette rientrare, in fretta, per la ribellione di Tebe.
L’antica città, conquistata con la forza (non aveva inteso trattare la resa), venne distrutta ed i suoi abitanti venduti schiavi. Ormai sicuro alle spalle, il macedone lasciò Antipatro quale reggente e alla testa di 40.000 soldati (di cui 5.000 cavalieri), sbarcò nella Troade e visitò le rovine di Troia.
Ed ecco la prima storica vittoria a Granico (334 aC) dove batte Memnone di Creta, al comando dei Persiani e dove viene salvato, ferito al braccio da una lancia, da uno dei suoi amici, Clito il nero. Dal campo di battaglia invia ad Atene 300 armature persiane…
Dopo il taglio, mitico, del nodo di Gordio e la malattia che lo aggredisce a Tarso (dove viene curato al meglio dal medico Filippo), arriva la seconda travolgente affermazione ad Isso (333 aC): Dario III fugge e Alessandro, dopo aver inviato ad Atene, una “corona d’oro”, soggioga la Siria (dove, a Damasco, s’appropria del tesoro del re persiano), la Fenicia, l’Egitto (e qui onora il dio Ammone e fonda Alessandria) e s’addentra in Mesopotamia, Armenia, Iran. A Gaugamela (331 aC) – siamo nella terra di Ninive, oggi Mosul – coglie il terzo grandioso successo che gli spalanca le porte di Babilonia, Susa, Persepoli. Dario III in fuga viene ucciso (330 aC) dal satrapo Besso (che pagherà a sua volta con la vita), proprio mentre Antipatro, si sbarazza del re Agide di Sparta e sottomette l’intera Grecia.
È in questo periodo che Alessandro comincia ad imitare i re orientali ed a pretendere il “bacio a terra” (proschinesi). Scatta, nel malumore tra i suoi, la congiura di Filota che insieme agli altri viene giustiziato. Non solo: Alessandro invia due suoi ufficiali ad Ecbatana (oggi Hamaran in Iran) per assassinare il generale Parmenione, padre del capo dei cospiratori.
Abituato a mangiare e bere, senza freni, durante un banchetto, a Samarcanda, in Sogdiana, il re scaglia una lancia e uccide Clito il nero. Se ne pente subito, ma ormai l’amico è morto. Nel 327 nuova congiura, detta “dei paggi”: stavolta tra i torturati e giustiziati figura pure Callistene, storiografo di corte e filosofo, nipote di Aristotele.
Il cammino di Alessandro prosegue in Afghanistan, dove ad Idaspe (Kabul) travolge il re Poro (326 aC). In Pakistan costruisce Bucefala, in onore del proprio cavallo, morto nel corso della battaglia. A Susa sposa Roxane, poi Statira figlia di Dario e Parisatide, figlia di Artaserse (per anni aveva tenuto come concubina Barsìne, principessa di Frigia, catturata a Damasco e già sposa di Memnone).
Anche 80 ufficiali macedoni convolano, al contempo, a nozze con altrettante nobildonne asiatiche. Adesso la monarchia si trasforma totalmente in orientale: il re apre alla poligamia, si lascia adorare come un dio, si siede su un trono d’oro. Muore l’amato Efestione (di malattia), a quattro mesi dal matrimonio con una delle figlie di Dario.
La fine si avvicina, anche se il re – di soli 32 anni – non se ne rende conto. Alessandro il Grande si ammala di febbri maligne e si spegne anche lui, in Babilonia. Secondo un luminare di oggi, il professore greco Thomas Gerasimidis – che ha approfondito le fonti sui dolori accusati dal re negli ultimi giorni di vita – Alessandro sarebbe stato colpito, dopo un pasto abbondante e libagioni esagerate, non da malaria o da una polmonite (come si supponeva), ma da una forma acuta di necrosi pancreatica.
Dalla antichissima capitale Mesopotamia, la stella inviò i suoi ultimi bagliori, che ora tornano a risplendere da Napoli.
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