
Malata denuncia: «Da un anno attendo parere sul suicidio assistito»
Malata denuncia – Denuncia di aspettare “da oltre un anno” la risposta della Ausl alla sua “richiesta di verifica delle condizioni per poter accedere all’aiuto medico alla morte volontaria” Laura Santi, perugina di 48 anni affetta da una forma “progressiva e avanzata” di sclerosi multipla che il 20 aprile del 2022 ha presentato all’azienda sanitaria una richiesta per l’accesso alla verifica delle proprie condizioni ai sensi della sentenza costituzionale 242/2019, ovvero per accedere al cosiddetto suicidio assistito. “E’ impressionante” afferma attraverso una nota dell’associazione Luca Coscioni.
“Per le persone malate che soffrono si tratta di un tempo infinito” afferma Laura Santi, consigliera generale dell’associazione Coscioni. “Le mie condizioni – prosegue – al momento mi permettono di poter aspettare: io voglio vivere adesso, ma voglio avere la la possibilità di essere libera di scegliere di dire basta se la sofferenza dovuta alla malattia dovesse prendere il sopravvento sulla mia, e solo mia, idea di vita. Vorrei sapere che quella porta c’è, esiste, e se voglio, posso decidere di aprirla, quando voglio. Una consapevolezza che, sono convinta, farebbe vivere molto più serenamente la mia malattia e quella di tanti altri pazienti con patologie ancora più gravi. Per questo sto valutando la possibilità di procedere per vie legali”.
“Ci sono tante persone malate – sostiene ancora Laura Santi – che però non possono aspettare. La Corte costituzionale ha voluto che le scelte sul fine vita fossero verificate e rispettate, è quindi inaccettabile che le istituzioni continuino a non mettere in pratica quello che la Consulta ha indicato, lasciando noi malati in un’attesa senza fine”.

di Maria Antonietta Farina Coscioni
Presidente Istituto Luca Coscioni
Procedo per punti. Preliminarmente, dobbiamo essere grati a Laura Santi, affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla: solleva una questione che va al di là del caso personale, investe questioni generali irrisolte. Come spesso accade è l’azione del singolo che meritoriamente “impone” a un’opinione pubblica e a una classe politica distratta, o peggio indifferente, questioni che si fa credere siano marginali, ma sono invece aspetti che toccano e riguardano tutti noi. Ricapitolo sommariamente i termini del caso: Laura, il 20 aprile del 2022, presenta alla competente azienda sanitaria umbra la richiesta per l’accesso alla verifica delle proprie condizioni di salute, si rifà alla sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019, più nota come sentenza Dj Fabo.
In sostanza, la possibilità di poter accedere al cosiddetto suicidio assistito. Trascorrono sei mesi: la verifica delle condizioni viene effettuata dalla commissione medica a novembre; finita? No, perché la relazione è incompleta: manca il parere del Comitato Etico, quindi la procedura non si conclude. Perché il Comitato Etico non completa l’iter? Nessuno ha pensato di prevedere che debba fornire il suo parere in un tempo certo. Dunque, vuoi per sciatteria burocratica, vuoi per una malcelata resistenza ideologica a dar seguito a un diritto che non si condivide, il fatto certo e indiscutibile è che il Comitato Etico può tranquillamente e senza conseguenze rimandare la questione alle calende greche. Il risultato concreto è che Laura attende da oltre un anno la risposta della AUSL alla sua richiesta di verifica delle condizioni per poter accedere all’aiuto medico, assistito dunque, alla morte volontaria.
Un anno di tempo è un iter difficile da accettare. Per persone malate che soffrono è una letterale indecenza. A questo punto non è più il caso di Laura, che per averlo sollevato e avuto una eco, può anche finalmente trovare una soluzione che la possa soddisfare. È inaccettabile l’iter in sé, la questione, ripeto, va al di là del singolo caso. È acquisito che la Corte Costituzionale ha sancito essere un diritto di ognuno quello di poter esercitare, in scienza e coscienza, di interrompere la propria esistenza in condizioni date; ecco che ora si tratta di conquistare il diritto che le istituzioni preposte adempiano, per quanto spetta loro, a che questo diritto sia esercitabile, senza l’attesa di un tempo infinito.
Il malato, in attesa di uscire da questa sorta di limbo patisce, subisce un danno irrisarcibile in termini fisici e psicologici. Non si può infierire con una attesa infinita, perché manca una firma, un timbro, perché c’è un rimpallo tra un comitato e l’altro. Il primo dovere è superare la “burocratizzazione” della malattia e della sofferenza, per le quali una quantità di organismi sono responsabili e di fatto nessuno lo è. In casi come quelli di Laura, e non solo, la malattia generalmente viene “diagnosticata” dalla stessa rete sanitaria, “presa in carico” dalla stessa rete di assistenza di cui ha diritto e a cui si rivolge per chiedere la verifica delle condizioni di accesso al suicidio assistito. Motivi per cui non si comprendono e non hanno motivo di essere lungaggini ulteriori.
Il medico di base, eventualmente con il supporto di uno psichiatra, di uno psicologo, dovrebbe essere sufficiente per attestare e confermare le condizioni cliniche e psichiche e quindi le volontà del paziente. Questo potrebbe e dovrebbe bastare. I “passaggi” successivi sono pertanto inutilmente farraginosi e hanno come unico effetto pratico quello di esarcerbare l’esistenza del malato e dei suoi cari, obbligati a sottostare a iter burocratici senza scopo. Indiscutibile il diritto del malato di decidere se e quando dire “basta” alla sua sofferenza senza rimedio. Dovere delle istituzioni che questo diritto diventi pratica esercitabile.
Via dunque, Comitati Etici e quant’altro. Le regioni hanno il potere di intervenire e imporre tempi ragionevolmente brevi per assicurare che le volontà del malato siano rispettate. Il Parlamento ha la sua quota di responsabilità: finora, latitante, ha omesso di dibattere in tema di suicidio medicalmente assistito al contrario di quanto accaduto in altri paesi civili. La Corte Costituzionale si è espressa in modo chiaro e inequivocabile. Ora sono le altri istituzioni, Parlamento e regioni, che devono fare la loro parte. —
*Presidente Istituto Luca Coscioni © RIPRODUZIONE RISERVATA Su La Stampa
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