Cattedrale San Lorenzo, celebrata la Messa crismale del Mercoledì Santo
Il cardinale Gualtiero Bassetti: «Un’esistenza protesa verso Cristo, quella del prete»
E’ da sempre molto sentita e partecipata la Messa crismale del Mercoledì Santo nella cattedrale di San Lorenzo in Perugia, che vede ogni anno una folta partecipazione di popolo di Dio proveniente anche dalle parrocchie più periferiche dell’Archidiocesi, insieme ai suoi parroci, diaconi e seminaristi. C’erano in San Lorenzo, nel pomeriggio del 23 marzo, anche numerosi ragazzi e ragazze, accompagnati dai loro catechisti, che nel corso dell’anno riceveranno il sacramento della Cresima.
Apertasi con la tradizionale processione di sacerdoti, diaconi e seminaristi per piazza IV Novembre con ingresso in cattedrale dalla Porta Santa, questa celebrazione rappresenta il segno tangibile di unità dell’intera comunità ecclesiale attorno al suo Pastore nel giorno in cui i sacerdoti rinnovano la loro promessa formulata nel momento dell’ordinazione presbiterale e culmina con la consacrazione degli oli santi. A presiederla è stato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti insieme all’emerito mons. Giuseppe Chiaretti, al vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti e all’abate benedettino Giustino Farnedi.
Il cardinale ha espresso la sua viva gratitudine al suo predecessore, l’arcivescovo Chiaretti, perché «nei suoi quattordici anni di episcopato – ha detto Bassetti – è riuscito a far capire il significato della Messa crismale al popolo perugino-pievese. Nel mio lungo pellegrinare di ventitré anni di episcopato non ho mai visto tanta partecipazione, nemmeno quando la Messa crismale si celebrava il Giovedì Santo. Voi avete capito che questa è una celebrazione fondamentale per il nostro essere cristiani, sia come laici che come sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose».
Il cardinale, nell’omelia (il testo integrale è consultabile nel sito www.diocesi.perugia.it), ha ricordato l’importanza della Messa crismale, citando le Premesse al Pontificale Romano in cui è definita «quasi epifania della Chiesa».
«Ricordo – ha proseguito il porporato –, come fosse ora l’ultima lettera scritta da San Giovanni Paolo II ai sacerdoti per il giovedì santo del 2005. La scrisse dal “Gemelli”, dove si trovava degente e possiamo dire che è il suo testamento spirituale. Pochi giorni dopo era già in Paradiso. Quella del sacerdote – diceva il papa – è un’esistenza donata. “Accipite et manducate… accipite ed bibite”. Il prete attua nella propria carne quel “prendete e mangiate” con cui Cristo, nell’ultima Cena, affidò se stesso alla Chiesa. “Un’esistenza salvata, quella del prete, per salvare”. “Questo è il mio corpo dato per voi! Diceva il papa. “Ripetendo queste parole di Cristo noi sacerdoti diveniamo annunciatori privilegiati di questo mistero di salvezza. Ma come esserlo efficacemente senza sentirci noi stessi salvati? Noi per primi, siamo raggiunti nell’intimo dalla grazia. E questo ci impegna nel cammino della santità e della missione, spronando ciascuno di noi a farsi “tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”. Continuava ancora il pontefice: “Un’esistenza memore quella del prete”. “Fate questo in memoria di me”. Un’esistenza consacrata. “Misterium fidei” Mistero della fede. È lo stupore, sempre rinnovato, per lo straordinario prodigio che si è compiuto nelle nostre mani. “Mane nobiscum Domnie!”. La nostra devozione all’Eucaristia, la nostra adorazione nascono da qui. “Mane nobiscum Domine!”. Un’esistenza protesa verso Cristo, quella del prete. “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta. “Per me vivere è Cristo” diceva San Paolo. “Un’esistenza vissuta, nella forma propria della carità pastorale”. E così, cari fratelli, la nostra esistenza sacerdotale, va intesa come un crescere in Cristo. Cristo sia l’orizzonte primo e ultimo della nostra vita “in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”. Di conseguenza, da noi sacerdoti si richiede di vivere orientati a lui, di respirare il suo Vangelo, di piacere solo a lui. Commentando quest’ultima espressione, un sacerdote poeta, Clemente Rebora, esclama dal letto di agonia, 1957: “Il Signore deve diventare la nostra ossessione. Desiderare unicamente ed infinitamente di piacere a Dio”. “Cari presbiteri, che senso avrebbe aver scelto la vita sacerdotale e permanere in essa, senza vivere la centralità di Cristo?”, fin qui papa Giovanni Paolo II».
«Per una singolare coincidenza, che mi permetto di ricordare – ha evidenziato il cardinale –, proprio domani 24 marzo è il 36° anniversario del martirio del vescovo salvadoregno, beato Oscar Arnulfo Romero, assassinato durante la celebrazione eucaristica. Le ultime parole da lui pronunciate alle ore 18.25 nella cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza, appena prima dell’Offertorio, furono: “In questo calice il vino diventa quel sangue che è stato il prezzo della nostra salvezza. Possa questo sacrificio darci il coraggio di offrire il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci torvi uniti nella fede e nella speranza”. In quell’attimo un colpo d’arma da fuoco lo introdusse nella Cena del Signore. Una vera esistenza – quella di Dom Romero – protesa a Cristo per salvare i fratelli».
Soffermandosi sulla consacrazione degli oli, il cardinale ha ricordato ai sacerdoti e a tutti i fedeli che essa «dà sicurezza e gioia alla nostra Chiesa: le procura infatti, il farmaco per la fatica del cammino, e la letizia di una ineffabile esperienza familiare. L’unzione dello Spirito Santo, infatti, che gli oli simboleggiano ed attualizzano, risana, conforta, consacra e permea di doni e di carismi tutto il corpo della Chiesa».
Avviandosi alla conclusione, l’arcivescovo ha affidato ai sacerdoti «tre consegne: Riscoprite la bellezza del presbiterio e della famiglia presbiterale. Ogni prete possa sentire il calore di appartenere a questa famiglia; Fate del presbiterio una comunità di volti, di fratelli, che si vogliono bene sul serio. Nei fatti e nella verità; Che ogni prete senta per il confratello, di cui dovrà rendere conto un giorno a Dio, profondo senso di responsabilità e di amicizia. Il Signore nostro Gesù Cristo ci dia la grazia di capire che il segno dei tre oli (dei catecumeni, il sacro crisma e degli infermi, n.d.r.) ci afferra tutti, ministri consacrati, religiosi e fedeli laici, perché tutto il mondo veda che il popolo di Dio porta in sé l’enorme ricchezza dell’infinito amore e dell’infinita misericordia di Dio. La porta santa che assieme abbiamo varcato, ha detto chiaramente al nostro cuore che Dio ci ama e vuole condividere con noi la sua vita come afferma papa Francesco nella Misericordiae Vultus: “La Chiesa sente in maniera forte il bisogno di annunciare la misericordia di Dio; perciò in questo anno giubilare essa si faccia eco della Parola di Dio che risuona forte e convincente come una parola ed un gesto di perdono, di sostegno, di aiuto e di amore”».
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L’intervento di saluto alla Messa crismale del vescovo ausiliare mons. Giulietti. «Gioia e gratitudine per l’abbondanza di vocazioni al presbiterato, ma anche alla vita consacrata
Il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti, nel suo intervento di saluto al cardinale Bassetti a inizio della Messa crismale – che lo stesso porporato ha definito «una presentazione semplice, familiare, ma anche piena di contenuti e di cuore» -, ha evidenziato l’esperienza della Visita pastorale (2013-2017). Un importante evento ecclesiale che consente al cardinale «di toccare con mano la reale consistenza di questa realtà – ha sottolineato mons. Giulietti –: comunità cristiane vive, in cui l’unzione spirituale si traduce in frutti di carità, fraternità, gioia e santità vera, sia pure nella dimensione della ferialità e in mezzo a difficoltà di ogni genere».
«Alla vigilia della cena pasquale – ha proseguito il vescovo ausiliare –, dove Cristo, Signore e Maestro, si è piegato con amore infinito sui piedi di coloro che di lì a poco lo avrebbero abbandonato, i suoi preti rinnovano le promesse dell’ordinazione. Chiamati “senza alcun merito nel numero dei ministri”, essi svolgono un compito insostituibile nell’annunciare, offrire e celebrare la misericordia del Signore. Stasera tutto il popolo santo si stringe con la preghiera e l’amicizia fraterna attorno a loro, ringraziando Dio per la loro vocazione e invocando la forza e la luce dello Spirito sul loro ministero».
Il vescovo ausiliare, come è consuetudine, ha ricordato «i confratelli che hanno concluso nell’anno trascorso il loro cammino terreno: mons. Elio Bromuri, mons. Rino Valigi, don Alviero Mencaroni e mons. Silvio Corgna. La tristezza per averli perduti in questa vita è stata mitigata dall’esperienza delle grandi manifestazioni di affetto e riconoscenza della loro gente in occasione delle esequie e anche dalla personale testimonianza di fede, umiltà e generosità offerta da ciascuno di essi nell’affrontare la morte e nel disporre dei propri beni». Nel contempo ha voluto rendere partecipe tutto il popolo di Dio della «gioia di chi quest’anno vive particolari anniversari sacerdotali: il 1° anno di sacerdozio di don Lorenzo Perri; i 25 anni di ordinazione di don Calogero di Leo, don Amerigo Rossi, padre Bruno Ottavi OFM e del sottoscritto (mons. Giulietti è stato ordinato sacerdote il 29 settembre 1991, n.d.r.); i 50 anni di ordinazione di don Alviero Buco, don Francesco Bastianoni, don Abele Brunetti, don Saulo Scarabattoli, don Umberto Stoppa e anche lei, eminenza (il cardinale Bassetti è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1966, n.d.r.); i 60 anni di ordinazione di don Nazzareno Marchesi, don Aldo Milli e don Ignazio Zaganelli; i 65 anni di ordinazione di mons. Aldo Federici e don Siro Nofrini, che è anche il nostro decano, avviandosi ai 91 anni».
Mons. Giulietti, citando nel suo saluto anche i seminaristi diocesani, ha detto: «Ringraziamo ancora il Signore per il dono di due giovani che sono entrati nell’Anno propedeutico, portando a 22 il numero dei seminaristi perugino-pievesi (18 al Seminario Regionale, 1 al Seminario Romano e 3 diaconi di prossima ordinazione). L’abbondanza di vocazioni al presbiterato, ma anche alla vita consacrata, che la nostra Diocesi sta conoscendo in questi anni è fonte di gioia e di gratitudine, e incoraggia a lavorare perché ogni giovane possa comprendere, accogliere e rispondere generosamente alla chiamata del Signore».
«Siamo infine felici che Papa Francesco – ha concluso il vescovo ausiliare – abbia chiamato lei, eminenza, a comporre i testi della Via Crucis del venerdì santo al Colosseo; porterà infatti al cospetto del mondo intero, attraverso le sue parole di pastore, anche la realtà viva della nostra Chiesa: dei suoi poveri e della sua carità; delle persone ferite dalla vita e dei cirenei che non cessano di sostenere le loro croci; del popolo sofferente e glorioso e dei preti che ne sono guide e amici. Sarà certamente una consolazione per tutti noi. Grazie».
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