
Via Enrico Vaime, perché no? Dedicata al figlio e amante della città di Perugia
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA – Custodiva il Grifo nel cuore. Orgoglioso di essere perugino. Chiare le sue parole: “Sono nato a Perugia. Non l’ho scelta io, ma sono contento di chi ha fatto la scelta al posto mio“. É morto invece al policlinico Gemelli di Roma, dove si era trasferito. Enrico Vaime era nato, il 19 gennaio 1936. Ed aveva trascorso l’infanzia e la gioventù al Borgo Bello, dove appunto, era venuto alla luce. “Un rione – spiegava, sornione – chiamato, un po’ troppo benevolmente Borgo Bello, composto di quattro villette, anche questa definizione un po’ troppo benevola, che erano in realtà case coloniche mai utilizzate secondo la loro primaria destinazione”.
Gli studi universitari, dopo il liceo, li aveva affrontati a Napoli: giurisprudenza. La sua passione, tuttavia, era scrivere, comunicare. Aveva iniziato col giornalismo e per questo, agli inizi degli Anni Sessanta, aveva partecipato ad un concorso pubblico (uno degli ultimi) della Rai, vincendolo. Senza “spintarelle”. Con lui ottennero il posto, tra gli altri, Liliana Cavani, Carlo Fuscagni (altro umbro di Città di Castello), Leardo Castellani. Dopo poco tempo (“Mi davano compiti assurdi”, rimarcava) aveva scelto la professione libera di scrittore, conduttore, di autore di programmi televisivi e radiofonici.
A quanto ha scritto il giornalista Fabio Di Iorio in un tweet col quale ha annunciato il trapasso di Vaime, non c’é nulla da aggiungere: “Enrico Vaime era la persona più bella, colta, intelligente, del mondo. Non c’é più e siamo tutti più poveri”.
Inutile snocciolare il rosario di programmi di successo sia quelli firmati da solo, sia quelli fatti con Italo Terzoli o con la coppia Garinei-Giovannini.
Tornava spesso a Perugia e non mancava mai la visita a “La Nazione” per salutare Gianfranco Ricci e gli altri amici della redazione. A lanciarlo in particolare fu la Canzonissima del 1968 trascinata da Mina, Walter Chiari e Paolo Chianelli. Lui comunque non si inorgogliva più di tanto del successo, perché ricordava che se ti fai prendere dalla boria, ci pensa poi il destino a riportarti alla dura realtà.
Raccontava di essersi ispirato a quelli che chiamava “i miei maestri” (che non sapevano di esserlo anche se aveva lavorato con loro): Marchesi, Flaiano, Zavattini, Bianciardi.
Le sue battute trancianti, fulminanti erano punture di spillo, figlie cioè di eleganza, cultura, misura. Folgoranti i suoi aforismi. Diffusi nei programmi radiofonici, in televisione (anche sulla 7) sui libri, ma pure nei colloqui privati. “La stupidità sarà anche un difetto, ma aiuta a soffrire di meno”, diceva. oppure: “Coraggio, il meglio é passato”. O “Era talmente egoista che nelle staffette non passava neanche il testimone”. O ancora: “L’apparenza inganna ma ti fa fare bella figura”. Per finire: “All’esame di coscienza mi hanno rimandato ad ottobre” e “La nostalgia si giova spesso di vuoti di memoria”.
Forse la commissione toponomastica del Comune di Perugia dovrebbe pensare a intitolare una via importante ad un perugino che si sentiva onorato di esserlo e che ha portato il nome della sua città in giro per il mondo.
Riposa in pace, maestro.
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