Barbara Corvi sarebbe stata sciolta nell’acido, svolta nelle indagini

Barbara Corvi sarebbe stata sciolta nell’acido, svolta nelle indagini

Sarebbe la gelosia il movente dell’omicidio di Barbara Corvi. La trentacinquenne di Montecampano di Amelia di cui non si hanno più notizie dal 27 ottobre 2009. I carabinieri di Terni, su disposizione del procuratore capo della locale procura della Repubblica, Alberto Liguori, hanno dato esecuzione ad un ordine di carcerazione per omicidio a carico del marito.

Il movente della gelosia – ha riferito il procuratore capo della locale procura della Repubblica, Alberto Liguori, nel corso di una conferenza stampa  “si condisce con un altro ingrediente che è quello economico”. Gli investigatori sono convinti che la matrice dell’omicidio non fosse mafiosa. La vicenda sarebbe nata da una mentalità mafiosa, ma non da circuiti di mafia.

Le accuse sono quelle di concorso in omicidio volontario aggravato e occultamento o soppressione di cadavere. Il corpo della donna non è mai stato trovato. Il concorso è con un fratello dell’uomo, Maurizio Lo Giudice, che è indagato.

Le indagini – è stato spiegato – erano state riaperte a seguito di una interlocuzione con altre attività giudiziarie antimafia e si sono svolte con il contributo di tre collaboratori di giustizia. Quanto al movente del presunto omicidio di Barbara Corvi, è stato sottolineato che alla questione passionale si affiancano motivi economici, legati alle difficoltà dell’attività di ferramenta della coppia.

E’ stata raccolta anche una intercettazione ambientale in cui una persona – al momento ancora ignota – afferma: “Io penso sia stata sciolta nell’acido”. Nel corso di una conferenza stampa del procuratore è stata segnalata anche un’altra intercettazione in cui lo stesso Roberto Lo Giudice, a proposito della scomparsa della moglie afferma: Sì, c’entro pure io”.

Le indagini – è stato detto nel corso della conferenza stampa – hanno permesso di “smontare i depistaggi” di Lo Giudice per far credere che Barbara si fosse allontanata volontariamente. Tra queste la tesi dell’allontanamento volontario e il prosciugamento dei conto correnti di Barbara per garantirsi la fuga, la manipolazione del pc di Barbara per accreditare intenti suicidari il giorno prima della scomparsa, la tesi del chiarimento in casa il 27 ottobre 2009 di pomeriggio tra Barbara e il marito prima della scomparsa, le due cartoline spedite da Firenze il 5 ed il 6 novembre 2009 da Barbara ai figli, le vere ragioni della presenza di Roberto a Reggio Calabria appena 18 giorni dopo la scomparsa della moglie.

“Trattasi di una prima lettura in chiave cautelare  – ha detto il procuratore – che, confortata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha fatto emergere un grave quadro indiziario all’indirizzo dell’indagato, trapiantato da tempo in Amelia, ma originario di Reggio Calabria; l’indagato, in base agli atti raccolti, pur non appartenendo al clan mafioso di riferimento, nella vicenda in esame sembra averne condiviso la mentalità: il tradimento deve essere lavato con il sangue. Del resto, 15 anni prima la cognata della vittima Barbara Corvi, Angela Costantino, ha pagato con la vita il tradimento al marito. Ulteriore elemento significante è il mancato rinvenimento del corpo delle due donne. I misteri che avvolgevano le prime investigazioni sono stati chiariti anche grazie al contributo offerto da plurimi collaboratori di giustizia un tempo facenti parte del Clan Lo Giudice, per intenderci quelli delle bombe ai giudici di Reggio Calabria del 2010. Il movente, come per Angela Costantino, è stato la gelosia, unitamente al tentativo, in parte riuscito, di spogliare dei suoi averi Barbara”.

Infine, le plurime e convergenti chiamate in reità da parte di attuali collaboratori di giustizia hanno consentito una lettura ragionata e coerente dei vari contributi istruttori raccolti sia prima dell’archiviazione dell’inchiesta sia soprattutto dopo la riapertura delle indagini.

“Un’inchiesta, condotta tra reticenze, depistaggi e comportamenti omertosi nella migliore tradizione criminale – ha concluso il procuratore -, di natura squisitamente indiziaria che attende serenamente i successivi segmenti di verifica endoprocedimentale previsti a tutela e garanzia dell’indagato, rammentando che il pubblico ministero è tenuto svolgere indagini innanzitutto in suo favore e che, al cospetto di idonea ed adeguata gravità indiziaria ed in assenza di fattiva collaborazione da parte dell’indagato, in presenza altresì di esigenze cautelari di concreto ed attuale pericolo di inquinamento probatorio e di elevata probabilità della commissione di reati della stessa specie, non può che soddisfare con lo strumento massimo di compromissione della libertà personale quale è la custodia cautelare in carcere”.

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