
Amica donna uccisa a coltellate, disse “Zenepe viveva nella paura e sopportava la violenza”
“Negli ultimi tempi lei viveva con la paura addosso e si vedeva. Quando abbiamo parlato della sua situazione, è anche scoppiata in lacrime un paio di volte. Mi ha detto ‘meno sto a casa e meglio è che lì è una litigata continua’. Ma il marito era geloso e non voleva neppure che andasse a lavorare, anche se per lei quello era anche uno sfogo, uno spazio di tranquillità che la aiutava a staccare”: a parlare è un’amica di famiglia di Zenepe Uruci, la cinquantaseienne di origini albanesi uccisa a coltellate nel primo pomeriggio di giovedì a Terni, nell’abitazione familiare di via del Crociere. Colpita con più coltellate, nella parte alta del corpo, tra collo, torace, schiena.
Ammazza la moglie a Terni, lei aveva chiesto aiuto al figlio «Papà mi sta facendo male»
L’amica del cuore oggi piange lacrime amare e si sente in colpa per non essere riuscita ad aiutare Zenepe. La donna non poteva scambiare una battuta con i clienti della pescheria col marito che spesso si aggirava nella zona per tenere sotto controllo ogni movimento di sua moglie. Viveva per i figli e gli adorati nipoti e riusciva ad avere qualche ora di serenità solo quando era nella cucina della pescheria.
Il marito, Xhafer Uruci, suo connazionale di 62 anni, nella serata di giovedì è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per omicidio e rinchiuso in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
“Circa un anno fa – racconta ancora l’amica della vittima – c’è stato un periodo in cui l’abbiamo vista in giro con un occhio nero per diversi giorni. Con me non ha mai ammesso né confessato nulla, ma già allora il sospetto che quei segni non fossero accidentali, era forte”.
Nel tempo risultano anche interventi delle forze dell’ordine presso l’abitazione di via del Crociere per liti e tensioni, mai seguite – da quanto appreso – da denunce alle autorità.
“La situazione – prosegue la donna – era precipitata da un anno a questa parte. La tensione c’era e Zenepe era spesso nervosa. Solo con il lavoro, i figli e soprattutto i nipoti riusciva a trovare un po’ di serenità. Il marito ha problemi di varia natura. Una situazione molto triste e l’epilogo purtroppo è stato il peggiore possibile. Lei era buona, dolce, di cuore. Pronta ad aiutare tutti, ma forse era proprio lei ad averne più bisogno di chiunque altro”.
“Xhafer è mio marito. Devo rimanere con lui fino alla fine”. Una frase che Zenepe ha pronunciato chissà quante volte agli amici. Dopo l’ennesima lite lei prova a chiamare il figlio Diamant, che assiste in diretta telefonica ai colpi sferrati dal padre con un coltellaccio per tagliare la carne con la lama lunga trenta centimetri. Col colpo letale che ha reciso la giugulare.
Lui, Xhafer Uruci, 62 anni, le mani ancora insanguinate, viene caricato sull’auto della polizia e portato in questura E intanto è stato sottoposto a fermo per omicidio volontario dalla polizia il marito della donna di 56 anni, uccisa ieri pomeriggio a coltellate in casa a Terni. Il sessantaduenne di origini albanesi è stato rinchiuso in carcere. L’uomo era stato bloccato subito dopo il delitto nella stessa abitazione e condotto in questura dove è stato fermato. I due si erano sposati da giovani in Albania ma vivevano a Terni da anni. La vittima, anche lei albanese, lavorava in una pescheria della zona. L’omicidio è avvenuto dopo una violenta lite tra i due, l’ennesima. Quello di Terni è il secondo femminicidio avvenuto in Umbria in pochi giorni.

L’intervento del Garante dei Detenuti, Giuseppe Caforio
Il secondo suicidio dall’inizio dell’anno al carcere di Terni deve essere motivo di riflessione e non di facili conclusioni. Le carceri umbre e segnatamente quello di Terni stanno vivendo un momento delicato dovuto almeno a tre fattori concomitanti:
- – ci sono circa 550 detenuti a fronte di una capienza prevista per 450, di cui 150 con problematiche psichiatriche serie con molti di loro incompatibili con la carcerazione;
- – gravi carenze di organico nella polizia penitenziaria con Terni che ha il rapporto più deficitario tra numero di detenuti e agenti penitenziari;
- – carenze sanitarie specie di psicologi e psichiatrici.
Il suicidio di un detenuto è una sconfitta del sistema e getta scompiglio psicologico fra i detenuti e fra gli agenti penitenziari alterando i delicati equilibri dell’intera comunità carceraria. Encomiabile in questo contesto è il lavoro della polizia penitenziaria che con abnegazione e umanità spesso si sostituisce al personale sanitario.
Per arginare l’attuale contesto occorre una task force di psicologi e psichiatri che possa essere di supporto in una sorta di burn out ai detenuti e agli agenti penitenziari fortemente provati da eventi come quelli dei suicidi e dell’auto lesionismo.
Il Garante dei Detenuti Umbria
Giuseppe Caforio
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