TERNI, CONCLUSIONE ANNO DELLA FEDE, OMELIA DEL VESCOVO ERNESTO VECCHI

Mons. Vecchi
Mons. Vecchi

(umbriajournal.com) TERNI – Siamo convocati in questa nostra Cattedrale, sotto lo sguardo di Santa Maria Assunta, per celebrare la Solennità di Cristo Re dell’Universo. Per la Chiesa di Terni-Narni-Amelia è anche l’occasione per concludere l’Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI l’11 ottobre 2012.

I testi biblici che abbiamo ascoltato – a chiusura dell’Anno liturgico – mettono a fuoco la vera identità di Cristo, instauratore di un regno di “verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace” (Prefazio). In particolare nella seconda lettura, San Paolo ai Colossesi canta un inno di ringraziamento, al Signore, perché «è lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore» (Col 1, 13).

Per cogliere il senso della regalità di Cristo non bisogna fermarsi in superficie, come i capi del popolo, che deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato gli altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto» (Lc 23, 35). Di fronte ai provocatori, dunque Gesù tace, perché con quanti non ragionano, non vale la pena argomentare.

A Pilato, invece, uomo autoritario e scaltro, ma che indaga su di lui con domande ragionevoli, risponde: «Io sono re. Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (Cf Gv 18, 33-37). Gesù risponde anche al “buon ladrone”, che rimprovera il suo compagno provocatore e porge un’istanza a Gesù: «Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» e Gesù gli risponde: «In verità io ti dico: oggi sarai con me in Paradiso» (Cf Lc 23,39-43).

Il regno di Cristo è dunque connesso con la questione della verità di Dio che si è fatto uomo per salvarci. Con la sua incarnazione, infatti, Cristo si è unito in certo modo ad ogni uomo, facendosi suo contemporaneo e compagno di viaggio. Il regno di Cristo, dunque, non si edifica sulle macerie della storia (Fukuyama), ma dentro gli eventi umani fino al loro compimento, quando si manifesterà “con grande potenza e gloria”. Perciò, ogni passo dell’umanità che procede verso il bene integrale dell’uomo si muove nell’ottica della salvezza, perché ciò che è vero, bello e buono – ovunque accada e da chiunque sia fatto – rivela l’impronta dello Spirito Santo, che sostiene gli edificatori del Regno di Dio nella storia.

Ma una domanda sorge spontanea: «Come mai dopo un lungo periodo di crescita, i paesi occidentali si ritrovano indebitati, invecchiati, disuguali e depressi? Secondo gli osservatori più attenti (Mauro Magatti, Feltrinelli 2012), questa crisi segna la fine del tecno-nichilismo, causa della seconda grande contrazione, dopo la prima del 1929. Essa è frutto di un’ampia crisi spirituale e di un libertarismo egocentrico. Oggi si avverte il bisogno di una nuova idea di sviluppo, a partire dalla qualità dell’ambiente, dalle relazioni umane, dal concetto di cultura, dal senso della vita. Non basta più pensare in termini di profitto, ma di «crescita integrale» che include anche il recupero della fede nella vita dell’uomo (Cf La Civiltà Cattolica, 3894).

Per questo, al termine dell’«Anno della Fede» (24 novembre 2013), la Chiesa pellegrina in Terni-Narni-Amelia intende dare concretezza – senza troppe pretese di completezza – agli orientamenti dottrinali e pastorali emersi in questo anno di grazia, segnato da un evento epocale: la rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino (11 febbraio 2013) e l’avvento alla guida della Chiesa di Papa Francesco (13 marzo 2013). Questo avvicendamento inatteso stimola la nostra riflessione, perché viene consegnato alla Chiesa come un «segno dei tempi», che esige di essere interpretato e vissuto come “momento favorevole” (Cf. 2Cor 6,1-2), stimolante e provocatorio (Cf. Lorenzo Chiarinelli, “Così antica e così nuova: la Chiesa”, Rieti 2013).

In tale contesto, anche la nostra Chiesa è chiamata a prendere coscienza di sé stessa e a vivere questo momento con grande consapevolezza e maturità ecclesiale. Il Vescovo Amministratore Apostolico fa parte delle “sorprese” dell’Anno della fede, e – giova ripeterlo – non è un commissario e tanto meno un inquisitore. Egli è un Pastore a tutti gli effetti, chiamato da Papa Benedetto a mettere ordine nei “conti economici”, secondo i concreti orientamenti di Papa Francesco, ma soprattutto a custodire e vivacizzare il patrimonio spirituale e pastorale, incrementato dalle grandi figure episcopali che lo hanno preceduto, fino alla venuta – quando Dio vorrà – di un nuovo Pastore.

L’anello di congiunzione tra Francesco e Benedetto è l’Enciclica «Lumen Fidei»: essa consegna ai credenti la “nuova logica” della fede, incentrata su Cristo, rivelatore dell’Amore del Padre e realizzatore della salvezza (Cf. n. 20). Per questo il nostro orizzonte pastorale si apre sul Concilio Vaticano II, in particolare sulla Costituzione liturgica «Sacrosanctum Concilium» (EV 1/1-244), a cinquant’anni dalla sua promulgazione (4 dicembre 1963). È nella Liturgia, infatti – specialmente nel Sacrificio della Messa – che si attua l’opera della nostra redenzione (Cf. n. 2, EV 1/2) e si annuncia la morte del Signore finché egli venga (Cf. 1 Cor 11, 26).

Proprio l’esigenza di un rinnovato annuncio per una nuova evangelizzazione, dentro la realtà complessa del nostro tempo, spinge la missione ecclesiale ad allargare gli orizzonti, per recuperare il rapporto tra la Costituzione conciliare «Sacrosanctum Concilium» e il Decreto «Inter mirifica» sui mezzi di comunicazione sociale (EV 1/245-283), anch’esso promulgato cinquant’anni fa, nella stessa seduta conciliare (4 dicembre 1963). Oggi, le nuove tecnologie hanno messo una forte ipoteca sulla natura e la qualità dei rapporti umani, pertanto è necessario entrare in questo “primo areopago del tempo moderno” per integrare il messaggio cristiano nella nuova cultura digitale (Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 37c, EV 12/625).

Per questo ho pensato di consegnare alla Chiesa pellegrina di terni-Narni-Amelia una Nota pastorale, con lo scopo di raggiungere un obiettivo: camminare uniti lungo il tratto di strada che ancora dobbiamo percorrere insieme. Per questo è necessario guardare in faccia la realtà in quest’ora “magnifica e drammatica” della nostra storia (Cf. Christifideles laici, n. 3, EV 11, 1616): magnifica, perché la nostra Diocesi è ben fondata su una viva e preziosa Tradizione ecclesiale, ricca di santità e di opere, di cultura e di carità, ben coltivate dalle eminenti figure episcopali della sua successione apostolica, Tradizione che oggi continua a dare copiosi frutti; ma è anche un’ora drammatica, perché la sofferenza finanziaria è molto seria e le sfide pastorali incombono, in un contesto ecclesiale e civile complesso, problematico e bisognoso di ricomposizione.

Per redigere la Nota pastorale non ho avuto il tempo di consultare tutte le strutture pastorali, per elaborare un programma che raccolga il meglio del passato e scruti a fondo la situazione presente: lo farà il nuovo Vescovo, quando la Provvidenza lo manderà. Pertanto, mi sono limitato a coinvolgere gli Uffici diocesani, per individuare le urgenze pastorali emergenti – da mettere a tema nel nuovo Anno liturgico – attorno alle quali ritrovare – tutti insieme – un rinnovato “fervore” nel servire il Signore (Cf. Rm 12, 11). È quanto ha raccomandato Papa Francesco ai Vescovi dell’Umbria in visita “ad limina” (22 aprile 2013), consigliando la rilettura del n. 80 della “Evangelii nuntiandi” (Cf. EV 5/1710-1714).

L’Anno della fede ci ha resi tutti più consapevoli che le comunità cristiane debbano «ripartire da Cristo». Lo ha detto anche Papa Francesco ai catechisti riuniti a Roma alla fine dello scorso settembre. Ma «Ripartire da Cristo» – sarà questo il titolo della Nota – significa avere familiarità con Lui.

Ma per avere confidenza con Cristo bisogna credere che Lui è «una realtà», non un’ipotesi, un mito, un simbolo religioso. Cristo è una «realtà viva», umanamente viva, che respira, palpita, gioisce, contempla, ama; non è un personaggio storico mummificato nei libri. Cristo è «una realtà operante»; non è tagliata fuori dalla nostra esistenza e dal nostro mondo, ma è il principio della vita e della sussistenza di tutti. Ma Cristo è anche «una realtà orante», preghiera fatta persona e principio della preghiera (Cf Card. Giacomo Biffi, in AA.VV., Predicare oggi, Editrice Ancora, Milano 1982, p. 203). Perciò – per ripartire da Lui, bisogna «stare con Lui e imitarlo».

Non dobbiamo avere paura di uscire dai nostri schemi, perché lo Spirito di Gesù ci rende «creativi». Ma per essere creativi bisogna saper cambiare, in modo da adeguarsi alle circostanze, per annunciare il Vangelo di sempre, che non cambia, perché «Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8).

Le comunità cristiane, quando si chiudono si ammalano, mentre se vanno in missione per le strade, verso le periferie rimangono vive, anche se rischiano qualche “incidente”: «Preferisco – dice il Papa – una Chiesa incidentata ad una Chiesa ammalata».

Quest’anno l’Umbria è stata chiamata ad offrire l’olio per la lampada, che arde sulla tomba di San Francesco. Questo gesto pubblico, coinvolge anche le nostre persone, sollecitate a offrire il loro sacrificio spirituale gradito a Dio (Cf Rm 12,1) e così diventare «nuove creature» (Gal 6,15).

Indubbiamente, per entrare in questa prospettiva è necessario farsi «piccoli» (Mt 11,25) come Francesco: spogliarsi delle zavorre che appesantiscono la nostra esistenza e prendere sulle nostre spalle il «giogo» di Gesù: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Questa è la sola via per dare «ristoro alla nostra vita» (Mt 11,29).

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