Crafword e Flack, tra blues e smooth jazz

(UJ.com) PERUGIA di <b>Marcello Migliosi</b> - Il blues del profondo Sud degli Stati Uniti d’America è andato in scena ieri sera all’Arena Santa Giuliana con il concerto del “principe del pianoforte, Davell Crawford. Il tastierista di <b>New</b> <b>Orleans</b> ha aperto la sua suite con “Body and soul”, ma c’è stato tempo anche per “Evil”, “Rocket love” e “A song for you” di Leon Russell. Scorbutico quanto bravo, il principe del blues, ha vietato a fotografi e teleoperatori di fare il loro lavoro.<br /><br />Umbria Jazz è un evento mondiale, Umbria Jazz si tiene sul territorio italiano e l’articolo 21 della Costituzione italiana è costato lacrime e sangue, non può certo un pianista ed organista, per quanto divino interprete del blues suonato e cantatati, applicare bizzarre leggi per tutelare una non ben identificata e identificabile privacy, visto che suonava e cantava sul palco. In ogni caso la sua performance è stata all’altezza delle aspettative, Crawford è tra i più grandi interpreti della musica del Delta del Mississippi del nostro tempo. Dopo di lui, in gruppo, la cantante <b>Roberta</b> <b>Flack</b>.<br /><br />Ai più sarà nota per il brano che le ha permesso di vincere uno dei quattro grammy: “Killing me softly”. La cantante di Asheville ha regalato al pubblico – poco e piuttosto infreddolito – un grande concerto di grande eleganza stilistica. Le sue esecuzioni sono state sempre a cavallo tra lo smooth jazz e rythm &amp; blues, il jazz e il <b>pop</b>. Questa sera sarà la volta di Herbie Hancock e il suo “River”. Si annuncia come una dei concerti più interessanti della trentacinquesima edizione di Umbria Jazz.<br /><br />Degli artisti residenti di Umbria Jazz, ospiti del festival per tutta la sua durata, Bill Frisell e' quello che giorno dopo giorno sta raccontando le storie piu' interessanti. Il chitarrista di Baltimora suona ogni pomeriggio, o ogni notte, con il suo trio: Tony Scherr al <b>contrabbasso</b> e Kenny Wollesen alla batteria. E ogni volta e' un visionario viaggio lungo i percorsi della musica americana contemporanea, che Frisell intreccia tra loro in modo inestricabile. Il trio passa senza trauma alcuno dal country di Nashville al jazz di Thelonius Monk, dalle sequenze astratte di pura ricerca sul suono alla canzone popolare, dal blues al rock piu' duro, dal soul di Sam Cooke al cool di Lee Konitz.<br /><br />Talvolta la chitarra di Frisell sembra muoversi in bilico tra l'eleganza discreta di Jim Hall e la psichedelia voodoo di Jimi <b>Hendrix</b>. Del resto, Hall e' il maestro riconosciuto, ed Hendrix era di Seattle, la stessa citta' sul Pacifico in cui vive Frisell da molti anni. Il bello e' che questo eclettismo estremo non sembra mai una formula studiata a tavolino, del tipo ''musica per tutti i gusti''. In realta' Frisell ha interiorizzato profondamente le diverse culture americane (in questo ricorda un RyCooder) e le ha trasformate in un solo prodotto di puro suono. Ne sono buona testimonianza i concerti perugini, complice la formula del ''resident artist'', che di solito piace ai musicisti perche' da' loro il modo di articolare un filo musicale piu' complesso e compito della toccata e fuga del singolo evento.<br /><br />Frisell sorprende sempre nel riuscire a legare in un ragionamento coerente cio' che sulla carta sembra una missione impossibile. Con alcuni momenti memorabili, quelli che da soli valgono il <b>concerto</b>, come quando da un delicato, sommesso arpeggio folk viene fuori prepotente e solare la melodia di A hard rain's a-gonna fall, monumentale protest song del giovane Bob Dylan, che acquista patos e si traduce infine in un lancinante solo di chitarra che farebbe venire un brivido di invidia ai Led Zeppelin. Fondamentale in questo lavoro e' la coesione del trio.<br /><br />Tra le tante band che Frisell porta avanti contemporaneamente, questo e' il gruppo da lui stesso considerato il piu' flessibile e spontaneo. ''Tutto puo' cambiare ogni volta - ha spiegato - a <b>seconda</b> del nostro mood, delle dimensioni e del suono dell'ambiente, del pubblico''. Una piccola grande band che non fa mai piani prima di suonare e che ogni volta da' suono agli stati d'animo del momento. Probabilmente, una delle cose migliori ascoltate a Umbria Jazz 08.

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